Secondo i dati offerti dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, in Italia oltre il 95% delle aziende attive è costituito da micro-imprese. Questa percentuale supera di circa il 2% la media europea, mentre risulta decisamente elevata rispetto a Paesi come la Germania, dove si attesta sull’82%.
Queste micro realtà svolgono un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’occupazione, includendo il 45% degli occupati, ma, se paragonate alle imprese europee con caratteristiche simili, non performano bene a livello di produttività. Il loro valore aggiunto è infatti di circa 30.000 euro a lavoratore contro i 35.000 euro della media europea e i 46.000 di Germania e Francia.
Ma che cos’è esattamente una micro-impresa? Esiste qualche differenza tra micro e piccola impresa? E perché risulta così importante capire se la propria realtà rientra in questa categoria? Andiamo a scoprirlo insieme.
Differenza micro e piccola impresa
Sebbene la nomenclatura possa trarre in inganno e nonostante rientrino entrambe nella categoria delle PMI o, più correttamente, delle MPMI (Micro, Piccole e Medie Imprese), micro e piccola impresa sono realtà affatto differenti. A fare la differenza tra micro e piccola impresa sono:
- il numero minimo e massimo di dipendenti
- il fatturato
- il totale di bilancio annuo.
Per sapere se la propria attività rientra nell’una o nell’altra categoria, è necessario tenere conto di quanto stabilito dal DM 18 aprile 2005, il quale ha recepito la raccomandazione 2003/361/CE della Commissione europea, emessa il 6 maggio 2003.
Definizione di micro impresa
Secondo quanto stabilito dalla Commissione europea, possono essere definite microimprese le realtà:
“con meno di 10 occupati e che realizzano un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro”.
Una piccola impresa è invece una realtà leggermente più grande, la quale conta “meno di 50 occupati” e realizza “un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 10 milioni di euro”.
Ancora più grandi e con un fatturato maggiore sono infine le Medie Imprese, terzo pilastro rientrante nell’ampio gruppo delle MPMI. In particolare, possono avere un massimo di 250 dipendenti e un fatturato annuo di massimo 50.000.000 di euro o, in alternativa a quest’ultimo, un bilancio annuo che non superi i 43.000.000 di euro.
Micro impresa requisiti
I requisiti di base che consentono di definire un’impresa “micro” sono dunque:
- Il fatto di avere meno di 10 occupati (massimo 9): il termine “occupati”, secondo quanto si legge nell’articolo 2 comma C del decreto Ministeriale 18 aprile 2005, si riferisce ai “dipendenti dell’impresa a tempo determinato o indeterminato, iscritti nel libro matricola dell’impresa e legati all’impresa da forme contrattuali che prevedono il vincolo di dipendenza, fatta eccezione di quelli posti in cassa integrazione straordinaria”, nonché secondo l’allegato 1 “i proprietari gestori (imprenditori individuali) ed i soci che svolgono attività regolare nell’impresa e beneficiano di vantaggi finanziari da essa forniti”;
- la presenza di un fatturato annuo che non superi i 2.000.000 di euro: il fatturato, sempre secondo quanto riportato nel DM, viene calcolato considerando “l’importo netto del volume d’affari che comprende gli importi provenienti dalla vendita di prodotti e dalla prestazione di servizi rientranti nelle attività ordinarie della società, diminuiti degli sconti concessi sulle vendite nonché dell’imposta sul valore aggiunto e delle altre imposte direttamente connesse con il volume d’affari”;
- in alternativa o in aggiunta al precedente, un bilancio annuo non superiore ai 2.000.000 di euro: il bilancio è “il totale dell’attivo patrimoniale”.
Sebbene tali requisiti possano, a livello teorico e da soli, aiutare a distinguere le microimprese dalle piccole e medie imprese, nella pratica non sono sempre sufficienti. Laddove, infatti, una micro realtà potesse contare su risorse aggiuntive, derivanti da aziende associate o collegate, potrebbe ritrovarsi a superare i tetti stabiliti e a rientrare in una categoria superiore.
Micro-impresa: autonoma, associata, collegata
A seconda della struttura sulla quale si basa e degli eventuali rapporti stretti con altre imprese, la micro impresa – ma anche la media e la piccola impresa – potrà essere autonoma, associata o collegata.
Le MPMI vengono considerate “autonome” quando:
- non hanno partecipazioni in altre imprese e nessun’altra azienda ha partecipazioni in esse;
- partecipano al diritto di voto o al capitale di un’altra impresa in quota non superiore al 25% oppure (o in aggiunta) terze parti detengono una quota del capitale o diritti di voto delle imprese in esame non superiori al 25%. Laddove l’investitore che supera la quota del 25% – ma non va oltre il 50% – fosse un’università, un istituto di ricerca una società di capitali di rischio, un’autorità locale autonoma di piccole dimensioni, l’impresa manterrebbe lo status di “autonoma”;
- non sono collegate, tramite persone fisiche, ad altre imprese.
Sono invece “associate” se partecipano al capitale o al diritto di voto di un’altra impresa per una quota uguale o superiore al 25%, nonché se un’altra impresa partecipa al loro diritto di voto o capitale per una quota sempre uguale o superiore al 25%. Inoltre, per essere considerate associate, le aziende non devono essere collegate ad altre.
È importante ricordare che, nel caso in cui la quota fosse posseduta da organismi pubblici, l’impresa non potrebbe essere considerata una PMI e, di conseguenza, non potrebbe rientrare nemmeno nella categoria delle micro-imprese.
Per finire, secondo la definizione riportata nella “Guida dell’utente alla definizione di PMI” della Commissione Europea, vengono definite “collegate” le micro, piccole e medie imprese che “costituiscono un gruppo mediante il controllo diretto o indiretto della maggioranza dei diritti di voto di un’impresa da parte di un’altra o attraverso la capacità di esercitare un’influenza dominante su un’impresa”.
Come influisce il tipo di impresa sui dati della microimpresa
Il tipo di impresa può influire sul numero di occupati, sul fatturato e sul bilancio annuo della micro-impresa, portandola a perdere questo status per acquisire quello di piccola impresa, media impresa e via dicendo.
In caso di impresa autonoma, il problema non sussiste, in quanto il numero di dipendenti e i dati finanziari non vengono modificati da quelli di aziende associate o collegate. In questo caso, è necessario prendere in considerazione esclusivamente i dati dell’azienda stessa, accertandosi che non superino il tetto massimo.
Se invece si tratta di un’impresa associata, per capire se può rientrare tra le micro-imprese o, più in generale, tra le PMI, è necessario aggiungere ai suoi dati “una proporzione del calcolo degli effettivi e degli elementi finanziari” di tutte le imprese associate “al momento di determinare la propria ammissibilità alla condizione di PMI”. Al calcolo devono essere aggiunti anche “i dati proporzionati di ogni impresa collegata” ma non associata “a qualsiasi associata all’impresa oggetto di valutazione PMI”, ma non quelli delle eventuali imprese associate.
Per finire, in caso di un’impresa collegata, sarà necessario aggiungere ai suoi dati la totalità dei dati finanziari e degli effettivi delle imprese collegate.
A cosa serve capire se la propria realtà è una micro-impresa
Fino a questo punto abbiamo visto, per le micro imprese, requisiti e definizione, e abbiamo individuato le differenze tra queste e le piccole imprese. Ora cerchiamo di rispondere a una domanda più che lecita: a cosa serve capire se la propria attività è una microimpresa o se, invece, deve essere fatta rientrare tra le piccole o medie imprese?
Tanto per cominciare, avere ben chiaro che tipo di impresa è la propria è fondamentale per adempiere in modo corretto a tutti gli obblighi burocratici. Una microimpresa, se rientra nei parametri stabiliti dall’articolo 2435 ter del Codice civile, può ad esempio effettuare il bilancio in forma abbreviata, venendo esonerate dall’obbligo di rendicontazione finanziaria e, in casi specifici, dalla redazione della nota integrativa e della relazione sulla gestione.
Attenzione però: i parametri previsti dal Codice civile sono diversi da quelli del Decreto Ministeriale 18.4.2005. In particolare, il CC include tra le micro-imprese esonerate dagli obblighi suddetti quelle che “nel primo esercizio o, successivamente, in due esercizi consecutivi” non abbiano superato due tra i seguenti tre limiti:
- uno stato patrimoniale di 000 euro;
- ricavati derivanti da vendite e prestazioni di servizi di 000 euro;
- un numero di dipendenti medio pari a 5.
Inoltre, sempre per il Codice civile, per poter essere considerate micro-imprese, le società non devono emettere titoli sui mercati regolamentati (art. 2435 bis).
La seconda ragione per la quale risulta fondamentale comprendere se la propria attività rientra tra le microimprese riguarda la possibilità di accedere ad agevolazioni, crediti e contributi specifici.
Micro-impresa e accesso al microcredito
Tra le opportunità offerte alle microimprese rientra l’accesso al microcredito. Quest’ultimo è un piccolo prestito che viene concesso a soggetti e società che, non disponendo di sufficienti garanzie, non hanno la possibilità di ottenere finanziamenti attraverso i mercati tradizionali. La finalità principale del microcredito è quella di aiutare la crescita e lo sviluppo di micro realtà, nonché di fornire un primo aiuto economico a chi desidera avviare una micro-impresa o un’attività in proprio.
L’accesso a questa tipologia di credito è riservato agli autonomi e alle microimprese organizzate in forma individuale che non abbiano più di 5 dipendenti, nonché alle società di persone, alle cooperative e alle società a responsabilità limitata con non più di 10 dipendenti, esclusi i soci.
In poche parole
Può essere, quindi, considerata micro-impresa qualsiasi impresa autonoma, associata o collegata che presenti un numero di dipendenti non superiori alle 10 unità e un fatturato annuo non superiore ai 2.000.000 di euro. In alternativa a questo, può essere considerato il totale di bilancio.
Comprendere se la propria società rientra in questa categoria è fondamentale per poter accedere ad agevolazioni e crediti specifici, come il bilancio semplificato – il quale è riservato alle attività che, nel primo esercizio o in due esercizi consecutivi, abbiano rispettato i limiti previsti dall’articolo 2435 ter – e il microcredito.
Chi può rientrare tra le microimprese?
Secondo quanto riportato nella “Guida dell’utente alla definizione di PMI”, può essere considerata impresa – e, di conseguenza, se rispetta tutti i suddetti requisiti, micro-impresa – qualsiasi entità esercitante attività economica, indipendentemente dalla forma giuridica scelta. Questo significa che possono rientrare in questa categoria imprese familiari, società di persone, ma anche artigiani, autonomi e liberi professionisti.
Quali documenti compongono il bilancio delle microimprese?
Per le microimprese che rispettano i parametri indicati nell’art.2435 ter del Codice civile, il bilancio si riduce alla redazione di due soli documenti ossia lo stato patrimoniale e il conto economico. In assenza del rispetto dei limiti previsti, a questi documenti si aggiungono anche la nota integrativa, la relazione sulla gestione e la rendicontazione finanziaria.
Come funziona il microcredito?
Il microcredito viene concesso come mutuo chirografario, ossia garantito dall’impegno del richiedente. Oltre all’erogazione di una somma di denaro il cui importo massimo può andare, a seconda del soggetto richiedente, dai 75.000 ai 100.000 euro, prevede anche un tutoraggio gratuito che precede e segue l’erogazione del prestito.
Il tutoraggio è finalizzato a valutare la fattibilità dell’idea di impresa e ad aiutare l’imprenditore o il professionista nella gestione dell’attività.